

Chi si somiglia si arrabbia
Jung diceva che tutto ciò che ci irrita negli altri può portarci a comprendere meglio noi stessi. Questo vale in generale nelle nostre relazioni, anche quella coi nostri figli. Se ascoltiamo le nostre emozioni e comprendiamo i motivi che sono alla base della nostra irritazione, possiamo sfruttare queste occasioni per la nostra crescita personale.
La proiezione è un meccanismo di difesa, cioè è una forma di difesa della mente umana. Entra in azione quando inconsapevolmente attribuiamo a qualcun altro (proiettiamo, appunto) atteggiamenti o pensieri che ci appartengono ma che non possiamo tollerare in noi stesse, perché ci provocherebbero forte stress e angoscia.
Trasferire questi atteggiamenti e pensieri sull’altro ci permette di spostare la nostra attenzione e di prendere le distanze da quel contenuto che ci mette a disagio. Questo meccanismo è un po’ come nascondere il problema sotto al tappeto, funziona molto bene nell’immediato per abbassare il livello di stress, ma è decisamente meno funzionale nel lungo periodo. Buttare il problema addosso ad un altro individuo, infatti, non ci aiuta ad affrontarlo per superare quegli aspetti di noi che viviamo come fastidiosi e limitanti.
Questo atteggiamento è alla base di moltissime tensioni tra genitori e figli. I bambini tendono ad imitare gli adulti che li circondano, fin da piccoli osservano i genitori e spesso fanno propri molti loro atteggiamenti (sia positivi che negativi).
Se comprendiamo come funziona il meccanismo della proiezione psicologica sarà abbastanza chiaro il perché tendiamo ad arrabbiarci molto di più con il figlio in cui riconosciamo dei tratti che ci appartengono e non tolleriamo dentro di noi. Quando percepiamo la presenza di queste caratteristiche in un figlio, non riusciamo a tollerarle e reagiamo con estrema rabbia, indirizzando sul figlio la disapprovazione che vorremmo invece dirigere verso di noi.
Questa dinamica relazionale in forma lieve è del tutto normale; è chiaro però che se arriva a creare dei contrasti eccessivi, il genitore dovrebbe cercare di porvi rimedio. Per farlo occorre diventarne consapevoli e poi imparare a separare il desiderio (sano e legittimo) di guidare i propri figli verso ciò che si ritiene giusto e il tentativo (illegittimo e malsano) di pareggiare i conti con il proprio passato stigmatizzando i figli. Ognuna di noi ha un passato e delle questioni irrisolte: rimpianti, rimorsi, scelte sbagliate o atteggiamenti di cui ci vergogniamo e che non siamo ancora riuscite a cambiare. La necessità di chiudere i conti in sospeso con il proprio passato è sana ma non si risolve usando i figli come intermediari che ci facciano da specchio. Per chiudere con il passato molto spesso è più che sufficiente una riflessione consapevole e schietta su di sé. Poi per le questioni più complesse, c’è lo psicologo.
(In sottofondo Undisclosed Desires nella versione strumentale degli Gnu Quartet)